In questi giorni stiamo vivendo un momento storico per il mondo occidentale, che pare crollare sotto i colpi di falce di orde invisibili ma terrificanti e impietose: “I Mercati”.
Queste orde sono capeggiate da due generali. Il Generale “Economia” manda all’assalto le sue truppe al grido di “productivité, efficacité, compétitivité”; il Generale “Finanza” elabora le sue strategie di guerra sul principio “minimizzare il rischio e massimizzare il rendimento dell’investimento!”
Gli Stati in cui viviamo sono diventati tessere del Monopoli che pochi giocatori si scambiano a livello planetario: un, due, tre, un lancio di dadi et voilà l’Occidente è ritornato a Vicolo Corto.
Ma cosa c’entra tutto questo con la scuola? C’entra, eccome se c’entra! In questo scenario di guerra a colpi di finanza e di economia, i nostri politici progettano la scuola come un’azienda. La merce di questa “industria del sapere” consiste in un numero di ragazzi licenziati e di laureati determinato a tavolino, con i tagli ai budget, con i numeri chiusi e tutti regolarmente forniti di un prezzo (= valore del diploma).
I nostri insegnanti, “fattore produttivo” fondamentale del processo aziendale, dovrebbero evitare di impartire un insegnamento personale e diventare “supervisori”.
In questa logica aziendale che ne è di noi studenti in quanto uomini, della nostra capacità di instaurare rapporti umani veri e non virtuali, dell’apprendimento che si realizza tra uomo
e uomo costruito intorno a idee e a passioni? E poi ci viene chiesto di non
protestare e di non preoccuparci per il nostro futuro.
In realtà, non possiamo indignarci, non possiamo impegnarci perché non ne siamo capaci, perché la pianificazione di una scuola al servizio dell’economia di mercato ci ha isolati. Non saremo mai capaci di animare rivolte studentesche come quelle del ’68, perché siamo stati educati a perseguire la via dell’individualismo, dell’arrivismo e del consumismo.
Sembrava che la corsa del PIL sarebbe stata inarrestabile ed avrebbe raggiunto dei traguardi materiali sempre più raffinati per tutti, ma il crollo dell’economia occidentale ha mostrato i punti deboli di questo modello.
Tuttavia, il continuo discutere riguardo la necessità di rendere più “concreta” la scuola non basta a nascondere il fatto che sono profondamente inumani l’efficientismo produttivo e la deriva burocratica su cui si vorrebbe rifondare l’ordinamento scolastico (vedi riforme Brunetta-Gelmini).
Nell’ambito della società post-industriale che auspichiamo , la libertà intellettuale di noi giovani (e, dunque, una scuola libera che coltivi l’elemento umano) è una componente insostituibile per un nuovo modello di sviluppo basato sui diritti e non sulle banche.